Le ricerche che riguardano l’orientamento sessuale delle persone, e delle donne in particolare, devono tenere conto di numerose sfumature. Per il lesbismo, la psicologia e le interpretazioni correlate rientrano nel più grande calderone della psicologia LGBT.
Redazione
Chiariamo che si sta parlando prima di tutto di un modo d’essere e di una forma di normalità, anche se le insidie del politicamente corretto sono fin troppo palesi in questo ambito, con esiti opposti a quelli desiderati. L’identità sessuale non sempre ha dei confini ben delineati, ma si articola in una serie di sfumature che non rientrano in definizioni che rischiano di apparire più che altro come delle prigioni.
Come è cambiata la psicologia del lesbismo
La psicologia del mondo omo è oggetto di una profonda revisione, e quindi è molto diversa rispetto al passato. La sensazione è che, per fortuna, finalmente sia stata intrapresa la strada giusta. Ma che cos’è il lesbismo di preciso?
Per rispondere a questa domanda si può fare riferimento alla definizione che viene data dall’American Psychological Association degli orientamenti sessuali .
Si tratta di modelli stabili che riguardano l’attrazione – che può essere di tipo sessuale, di natura romantica o di carattere emotivo – nei confronti di uno dei due sessi o di entrambi. Nel caso del lesbismo, ovviamente, è l’attrazione delle donne nei confronti delle altre donne.
Come si può dedurre da questa definizione, riferirsi all’orientamento sessuale non vuol dire prestare attenzione unicamente alla dimensione sessuale in un rapporto, ma tenere conto anche dell’attrazione romantica ed emotiva che si può sviluppare: circostanze che, evidentemente, non riguardano solo le relazioni tra persone di sesso opposto.
I pregiudizi nei confronti delle persone omosessuali
La psicologia del lesbismo ha sempre risentito di un certo pregiudizio che ha riguardato il mondo delle persone omosessuali, per il quale questi soggetti venivano catalogati come interessati prettamente al sesso e non alle altre emozioni quali l’amore, l’affetto, eccetera.
Purtroppo, sono ancora tanti i contesti nei quali al giorno d’oggi le donne lesbiche sono obbligate a negare sé stesse e a nascondersi, mascherando il proprio io come abbiamo specificato nell’articolo come riconoscere una lesbo.
A volte le conseguenze in alcuni paese del mondo ( es. Oriente e Occidente), possono essere addirittura di carattere penale, ma anche quando la legge non proibisce in maniera esplicita l’omosessualità c’è uno stigma sociale che colpisce spesso le donne lesbiche.
Una vita nell’ombra
Così, tante ragazze e donne di tutte le età si ritrovano nella condizione di voler o dover rimanere nell’ombra, e le ragioni che stanno alla base di questo atteggiamento possono essere molto diverse. Non di rado, comunque, si manifesta una specie di divieto che ci si auto-impone, forse perché si è suggestionate dal mondo esterno.
Molto è cambiato con l’avvento di Internet, che ha permesso a tante persone di sentirsi sé stesse. Il web ha consentito, fra l’altro, più contatti e più incontri, oltre ad essere un mondo in cui chiunque ha la possibilità di far sentire la propria voce e di comunicare in maniera libera.
Così, tante donne lesbiche, pur magari lontane geograficamente, hanno potuto conoscersi, tramite chat a tema, come siti per lesbiche o chat per lesbiche. Addirittura si sono sviluppate delle vere e proprie comunità, quasi delle piazze virtuali in cui le ragazze si sentono protette perché sanno di avere a che fare con persone come loro, con gli stessi gusti e con le stesse paure.
Il lesbismo (la donna lesbica) per la paura di esporsi può rimanere a un livello solo potenziale, senza mai concretizzarsi. Le motivazioni alla base di questo comportamento possono essere tante, ma una delle più comuni è la paura di non sentirsi accettate.
Le chat per lesbiche possono offrire un prezioso aiuto da questo punto di vista, dal momento che si propongono di agevolare la connessione fra donne che hanno lo stesso orientamento sessuale, al di là del fatto che si cerchi un incontro per divertimento fisico o una semplice amicizia senza secondi fini.
Lesbica si nasce o si diventa?
Ma quali sono i condizionamenti psicologici che possono indurre al lesbismo e i fattori ambientali che ne scaturiscono? Una domanda di questo tipo oggi viene considerata errata, per il semplice motivo che – come è stato messo in evidenza da varie ricerche – sin da quando il feto è nella pancia della mamma il cervello programma l’orientamento sessuale in modo autonomo. È evidente, quindi, che non si diventa lesbiche per scelta, ma per fattori epigenetici, per motivi genetici o per caratteristiche prenatali.
Una questione di genetica
Più che di psicologia del lesbismo, pertanto, forse sarebbe più opportuno parlare di genetica del lesbismo. È stato stimato che il comportamento sessuale di una persona sia definito dai geni in una percentuale che va dall’8 al 25%: si tratta di una quota molto importante (ecco il link allo studio).
Ovviamente, questo non ha niente a che vedere con il livello di consapevolezza personale: in altri termini, una donna può essere lesbica ma non accettare questo fatto, e quindi condurre una vita da persona eterosessuale, frequentando un ragazzo e magari anche sposandosi.
Nella maggior parte dei casi le prime pulsioni di tipo affettivo e sessuale si rilevano nella media infanzia o al massimo nella prima adolescenza, come dimostrano le prime cotte a scuola. Dopo questa fase, ce n’è un’altra che è più incentrata sull’esplorazione, attraverso la quale si ha la possibilità di sperimentare: così, si entra in contatto con una parte nuova della propria vita e di sé.
Accettare di essere lesbica
Non è così frequente, e soprattutto non è così facile, che una donna omosessuale accetti la propria condizione senza colpo ferire. I motivi alla base di questa battaglia contro sé stesse possono essere molteplici, ma il risultato è che, in ogni caso, non ci si sente nelle condizioni di esprimersi come si vorrebbe.
Ovviamente ogni persona ha tempi diversi, e quindi diverse sono le modalità per affrontare la questione: ci sono ragazze che sanno già quel che vogliono e che non hanno bisogno di sperimentare, o che comunque lo fanno solo per divertimento e non per capire sé stesse.
Ma, d’altra parte, ci sono anche ragazze che ci mettono molto più tempo per arrivare a una piena consapevolezza, e non è nemmeno detto che questa poi giunga. Insomma, essere lesbiche a volte può essere complicato.
Il disagio
Il fatto che il lesbismo provochi in alcune ragazze un disagio più o meno forte non implica che l’omosessualità femminile sia un disturbo mentale o una malattia. Il fatto è che tante ragazze lesbiche si trovano nella condizione di non riuscire a esprimere sé stesse non perché non vogliano, ma perché ci sono delle costrizioni esterne che glielo impediscono (a volte).
Eppure fino a pochi anni fa non era raro imbattersi in persone – anche di un certo livello culturale – che equiparavano il lesbismo a una malattia, cioè una variante del comportamento sessuale di tipo patologico.
Certo, è sin dalla prima metà degli anni Settanta che l’elenco delle malattie mentali incluse del Manuale Diagnostico delle Patologie Mentali non comprende più il lesbismo, ma questo vuol dire che fino a mezzo secolo fa essere omosessuali era considerato un problema da curare. Ed è ovvio che l’opinione pubblica ha continuato a rimanere della stessa idea per molto tempo ancora.
Quando essere lesbiche era un problema
Basti pensare che la prima edizione del Manuale Diagnostico delle Patologie Mentali definiva il lesbismo e l’omosessualità in generale come dei disturbi della personalità di tipo sociopatico. L’edizione successiva, poi, presentò una definizione diversa, ma non per questo meno preoccupante: essere omosessuali era una parafilia, vale a dire una deviazione sessuale.
Si proponeva, poi, fra omosessualità ego distonica e omosessualità ego sintotica, a seconda che il proprio orientamento sessuale venisse accettato o meno. Quando una ragazza non accettava il proprio essere lesbica si parlava di omosessualità ego distonica, e tale condizione è stata annoverata nella lista dei disturbi della personalità fino a poco più di 30 anni fa.
Oggi che l’omosessualità non è più ritenuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità una malattia mentale, la situazione pare essere migliorata, anche se c’è ancora molta strada da percorrere. Insomma, i tempi sono cambiati, ma non per tutte le ragazze lesbiche è semplice uscire allo scoperto e ammettere serenamente il proprio orientamento sessuale, anche a sé stesse oltre che alle altre persone.
Personalità da indagare
Accettare di essere lesbiche vuol dire in primo luogo essere in grado di capire il proprio essere, sia dal punto di vista sessuale che a livello affettivo.
Non tutte le donne omosessuali, però, hanno la capacità e la forza di vivere questo totale svelamento del proprio modo di essere. Le ragioni alla base delle paure sono numerose, e una delle più comuni è la sensazione di non essere accettate dai propri familiari, o addirittura di essere emarginate.
Non di rado, poi, si teme che presentarsi per come si è davvero possa avere delle ripercussioni in ambito professionale. Tante ragazze omosessuali fanno fatica ad accettarsi e indossano, in maniera più o meno consapevole e più o meno volontaria, i falsi abiti di una vita eterosessuale, magari arrivando al punto da diventare madri dopo essersi sposate.
Come è facile intuire, però, quanto più a lungo si rinvia il momento del coming out e tanto più diventa complicato farlo, anche perché le ripercussioni che ne scaturiscono finiscono per coinvolgere un numero di persone sempre più elevato.
La psicologia del coming out
Il coming out viene interpretato, a livello psicologico, come una sorta di percorso che è finalizzato alla conquista di una maggiore consapevolezza. Il punto di partenza è rappresentato dal proprio sé, e per riuscire a presentarsi nel modo in cui si è veramente occorre definire una dimensione emotiva, cognitiva e perfino comportamentale.
Solo così una donna lesbica ha la possibilità di affermarsi nel mondo, come un soggetto unico e speciale che decide che cosa e come vuole essere. Non sempre si è padroni del proprio destino in materia di lavoro, di salute o di famiglia: di certo lo si può essere dal punto di vista della sessualità e dei sentimenti. Si tratta di un percorso a tappe, che può avere una durata più o meno lunga e che si conclude nel coming out a 360 gradi, non ristretto a pochi amici ma esposto al mondo.
Il ruolo della psicologia
E la psicologia che cosa può fare in questo contesto? Il dovere di uno specialista del settore è mettere le proprie competenze relative al comportamento umano a disposizione delle altre persone, al fine di favorire il loro benessere e promuovere al tempo stesso anche quello del gruppo e della comunità.
I professionisti della salute mentale devono affrontare il tema delle omosessualità e del lesbismo da un punto di vista personale, anche se viene da chiedersi se davvero ci sia bisogno di un trattamento speciale per le donne lesbiche, diverso da quello che sarebbe necessario per le donne eterosessuali. Il rispettoso ascolto è sempre alla base di ogni situazione, ed è per questo che gli psicologi e le psicologhe devono essere scevri da pregiudizi di sorta.
Essere lesbiche, purtroppo, è ritenuta, se non una malattia, un modo di essere che esula dalla normalità. Un approccio patologizzante, più o meno volontario e consapevole, affonda le radici in stereotipi che sono duri a morire. Si dovrebbe iniziare smettendo di considerare come scontato l’orientamento eterosessuale di tutte le donne.